LODO ARBITRALE IRRITUALE E IMPOSTA DI REGISTRO – ATTO AVENTE NATURA DICHIARATIVA – APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 6 E 9 DELLA TARIFFA PARTE I OVVERO DELL’ART. 4 PARTE II DEL D.P.R. 131/1986
Il lodo che viene pronunciato a seguito di arbitrato irrituale, se è qualificabile come atto di ricognizione del debito (o, più in generale, atto avente natura dichiarativa), non è soggetto alla registrazione in termine fisso e alla tassazione in misura proporzionale di cui all’art. 9 della Tariffa Parte I D.P.R. 131/1986.
E’ invece atto soggetto alla registrazione solo in “caso d’uso” e alla tassazione in misura fissa ai sensi dell’art. 4 Tariffa Parte II D.P.R. 131/1986 («Scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale; conti e rendiconti di ogni genere, scritti, disegni, modelli, fotografie e simili: euro 200»).
Come è noto, la Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986 prende in considerazione solo la fattispecie dell’arbitrato rituale: all’art. 8 della Parte I prevedendo la tassazione dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria che rendono esecutivi i lodi arbitrali rituali, e all’art. 2 della Parte II stabilendo che i lodi arbitrali rituali non esecutivi siano registrabili solo in “caso d’uso”.
Nulla è previsto per la registrazione e la tassazione ai fini dell’imposta di registro del lodo arbitrale irrituale.
Ne consegue che la disciplina fiscale dell’arbitrato irrituale è condizionata dalla forma e dal titolo contrattuale prescelto dagli arbitri e dal contesto negoziale in cui si inserisce la soluzione della controversia.
Di questa opinione è anche la più autorevole dottrina, secondo cui il lodo arbitrale irrituale «va sottoposto a tassazione di registro nello stesso modo in cui sarebbe tassato il contratto dal quale scaturissero i medesimi effetti che discendono dal lodo» (A. BUSANI, L’Imposta di registro, Milano, 2009, p. 904).
Tutto ciò è conforme alla natura squisitamente negoziale dell’arbitrato irrituale che, a differenza di quello rituale, non ha una efficacia giurisdizionale poiché si tratta di un atto meramente contrattuale con cui le parti affidano a un terzo la risoluzione di una controversia mediante una dichiarazione di volontà che viene imputata alle stesse parti del rapporto.
Pertanto ai fini dell’imposizione di registro del lodo irrituale non possono che valere le regole proprie del negozio in cui si sostanzia la decisione arbitrale.
Tra l’altro, come insegna la sentenza della Cassazione n.11692/2016, l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, in rubrica “Interpretazione degli atti”, stabilisce che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione».
L’interprete, quindi, deve attenersi alla tipologia ed agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione.
Occorre quindi distinguere la mera ricognizione di debito, conservativa di pregressa obbligazione e non sostitutiva con nuove obbligazioni autonome, dalla transazione con efficacia novativa, che ricorre quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di guisa che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti.
La ricognizione (o riconoscimento) di debito, insieme con la promessa di pagamento, trova la sua compiuta disciplina nell’art. 1988 c.c..
Con la ricognizione di debito, il debitore di un rapporto obbligatorio (cosiddetto “rapporto fondamentale” o “sottostante”) dichiara di riconoscere l’esistenza del debito, dispensando il creditore a favore del quale è fatta, dall’onere di provare il rapporto fondamentale, l’esistenza del quale si presume fino a prova contraria.
In ambito fiscale, in particolare per quanto concerne l’imposta di registro, la figura della ricognizione del debito è stata oggetto di numerose pronunce della Suprema Corte, la quale ha aderito alla tesi della improduttività di effetti sostanziali e della conseguente mancata insorgenza di obbligazioni nuove e autonome, e dunque statuendo che l’atto di ricognizione del debito non è soggetto a registrazione ex art. 9 della Tariffa, parte I D.P.R. n. 131/1986, in quanto privo di un qualsiasi contenuto patrimoniale o, tuttalpiù, vi è soggetto, ma con applicazione, a norma dell’art. 4 della Tariffa, parte II, allegata al D.P.R. n. 131/1986, dell’imposta di registro in misura fissa e non in misura proporzionale.
Vedasi, tra le più recenti, la sentenza della Corte di Cassazione del 23.10.2014, n. 24804 e da ultimo la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V, del 11.01.2018 n. 481, secondo la quale: «la ricognizione (o riconoscimento) di debito, insieme con la promessa di pagamento trova la sua compiuta disciplina nell’art. 1988 c.c.. Con la ricognizione di debito, il debitore di un rapporto obbligatorio (cosiddetto “rapporto fondamentale” o “sottostante”) dichiara di riconoscere l’esistenza del debito, dispensando il creditore a favore del quale è fatta, dall’onere di provare il rapporto fondamentale, l’esistenza del quale si presume fino a prova contraria. (…) essa ha, pertanto, natura “puramente dichiarativa”, non modificando la sfera patrimoniale del debitore che lo sottoscrive (e tanto meno quella del creditore che lo riceve) ma si limita a confermare un’obbligazione già esistente (Sez. 5, n. 1132 del 19/1/2009, Rv. 606491). (…) Nel caso in esame, nella determinazione dell’imposta dovuta, è errato avere applicato l’aliquota del 3% del valore della scrittura medesima, riferendosi alla norma di cui all’art. 9, Tariffa, Parte prima, del D.Lgs. n. 131 del 1986 agli atti aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. Invece, con riguardo alla mera ricognizione di debito (va ribadito, infatti, che si tratta di mera dichiarazione di scienza in relazione alla sussistenza di un rapporto preesistente nascente da pregressi contratti stipulati tra le parti, per cui la medesima non ha creato una nuova obbligazione, ma semplicemente riconosciuto ex post gli effetti economici di quegli atti), è applicabile la norma dell’art. 4, Tariffa, Parte seconda, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, concernente le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. Detta tipologia di atti, in forza della norma appena richiamata, scontano l’imposta in misura fissa (€ 168,00), e non nella misura del 3%, come preteso dall’Ufficio» (Corte di Cassazione, Sez. V, del 11.01.2018 n. 481).
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