L’AVVISO DI ACCERTAMENTO FISCALE E IL RICHIAMO A DICHIARAZIONI DI TERZI
Allorquando l’avviso di accertamento fiscale si fonda su P.V.C. che ha utilizzato materiale probatorio frutto di indagine penale, vi è l’obbligo dell’ente accertatore di allegare integralmente all’avviso gli atti di indagine contenenti dichiarazioni di tersi soggetti.
In difetto, si profila una possibile impugnazione dell’avviso per carente motivazione.
Sul punto la giurisprudenza tributaria (CTP Reggio Emilia n.99/2017) ha affrontato con esiti favorevoli al contribuente casi in cui l’impianto motivazionale degli atti impugnati si regge sostanzialmente su documenti, dichiarazioni ed intercettazioni che sarebbero state reperiti in seguito ad indagini penali a carico di terzi e che non sono conosciuti dalla ricorrente, se non tramite il semplice richiamo o riproduzione che ne fa il p.v.c. redatto dalla G.d.F..
Si tratta di casi in cui alla parte ricorrente non sono mai stati portati a conoscenza gli atti “originali” richiamati o riprodotti dal p.v.c.:
“In termini generali, facendo cioè richiamo ai principi costituzionali di una corretta amministrazione, nonché in termine specifici, facendo richiamo, agli art. 42 D.P.R. 600/73, 56 DPR 633/72 e 7 L.212/200. Statuto dei diritti del Contribuente, non può che concludersi nel senso della illegittimità della motivazione di un atto che si fondi su atti, dichiarazioni …..non conosciuti dal contribuente; né a ben vedere è sufficiente a legittimare questo tipo di motivazione, la riproduzione in atti conosciuti dallo stesso, come, nella fattispecie concreta dedotto in giudizio, nel pvc della G. d F. di dichiarazioni di terzi su cui si basi la motivazione dell’atto; invero è nel buon diritto della ricorrente conoscere gli atti, le dichiarazioni, le intercettazioni in “originale” per poterli collazionare con quanto riprodotto in motivazione e per poterne, più e prima di tutto, valutarne la portata ed il significato nella sua globalità essendo ben noto che una frase decontestualizzata può assumere significato e portata del tutto fuorviante rispetto al senso generale del discorso”.
Anche volendo assumere che le dichiarazioni dei terzi siano state correttamente riportate nel P.V.C., nel senso cioè di una loro conformità all’originalità, non per questo ne consegue la legittimità degli avvisi.
Le dichiarazioni di terzo, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, non possono, di per se sole assurgere al rango di prova “determinante”, ma debbano essere, criticamente ponderate dal Giudice tributario il quale le deve valutate, “calandole” nella fattispecie concreta dedotta in giudizio e, questo , anche nel caso di confessioni; infatti “Nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla polizia tributaria nel corso di un’ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione a sua volta recepito dall’avviso di accertamento hanno valore meramente indiziario , concorrendo a formare il convincimento del giudice, qualora confortate da altri elementi di prova. Tuttavia, tali dichiarazioni del terzo possono, nel concorso di particolari circostanze ed in ispecie quando abbiano valore confessorio, integrare non un mero indizio, ma una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria” (cfr. ex plurimis sent. N. 2011/9876).
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