Nov 24 2015

IL LEASING TRASLATIVO RISOLTO PRIMA DEL FALLIMENTO – Applicazione art. 1526 Cod. Civ.

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E’ noto che nel leasing di godimento è necessario che il contratto venga pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto ed a fronte di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi; per contro, ai fini della qualificazione del leasing traslativo, è necessario che la pattuizione si riferisca a beni atti a conservare, a quella scadenza, un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e che i canoni abbiano avuto la funzione di scontare anche una quota del prezzo di previsione del successivo acquisto.

L’elemento imprescindibile e dal cui accertamento dipende la qualificazione giuridica del rapporto è quindi quello di verificare se “il godimento temporaneo da parte dell’utilizzatore esaurisca la funzione economica del bene, ovvero la funzione del contratto sia predeterminata solo in funzione dell’ulteriore differito trasferimento del bene e della rateizzazione del prezzo d’acquisto”.

L’elemento principale che permette di individuare questa tipologia del leasing è costituito infatti dal considerevole valore economico residuo dei beni oggetto del contratto alla scadenza, valore di norma superiore al prezzo pattuito per l’opzione.

Ne consegue che nel caso del leasing traslativo il trasferimento della proprietà del bene, dal concedente all’utilizzatore, rientra nella funzione assegnata al contratto dalle parti.

L’importo dei canoni contiene infatti anche una quota del prezzo finale per cui il valore globale dei canoni corrisponde al valore complessivo del bene, mentre la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto indica lo scopo di garanzia rispetto alla riscossione di tutti i canoni. (Cfr. Cassazione civile, sez. unite, n. 65/1993).

Come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, per stabilire se sia in presenza di leasing di godimento o di leasing traslativo, occorre accertare la volontà delle parti trasfusa nelle clausole contrattuali.

In particolare, ricorre la figura del leasing di godimento allorquando l’insieme dei canoni è inferiore, in modo consistente, alla remunerazione del capitale investito, nell’operazione di acquisto e concessione in locazione del bene, lasciando non coperta una parte non irrilevante di questo capitale, mentre il prezzo pattuito per l’opzione è di corrispondente altezza.

Per contro, ricorre la figura del leasing traslativo se l’insieme dei canoni remunera interamente il capitale impiegato, ed il prevedibile valore del bene alla scadenza del contratto sopravanza in modo non indifferente il prezzo di opzione, con ciò dimostrando che i canoni hanno incluso non solo il corrispettivo per l’uso ma anche gran parte del prezzo del bene (per tutte Cass. Civ. Sez. I, 7/2/01 n. 1715).

Ciò premesso, conformemente al costante orientamento della Suprema Corte sul punto (per tutte Cass. Civ. 27/9/11 n. 19732), nel leasing traslativo si applica la disciplina della vendita con riserva della proprietà ex art. 1526 c.c..

Conseguentemente in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.

L’”equo compenso” consiste nel riconoscimento al cedente, che abbia dichiarato la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento della controparte, di una somma tale da remunerare il solo godimento del bene e non anche la quota destinata al trasferimento finale di esso, senza cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene.

La ratio di tale norma è da ricercare nella volontà del legislatore di non arricchire ingiustamente la parte venditrice, che, seppure adempiente, si troverebbe ad avere la restituzione del bene, l’incasso dei ratei già corrisposti, ed eventualmente il credito per quelli non versati.

Si confronti la recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 888/14), secondo cui: “E’ manifestamente iniqua ed eccessiva la clausola, corrente nei contratti di leasing traslativi immobiliari, per cui, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, l’utilizzatore è tenuto – oltre a restituire nell’immediato il bene e salvo il risarcimento del maggior danno – al pagamento di tutte le somme per canoni e interessi scaduti, come pure al pagamento della somma dei canoni non ancora scaduti maggiorati del prezzo di riscatto e come ancora al pagamento degli interessi di mora. Una simile clausola attribuisce alla società di leasing vantaggi maggiori a quelli che la stessa poteva attendersi dalla regola esecuzione dello stipulato contratto”.

Per contro, è stato reiteratamente “riconosciuto alla norma imperativa dell’art. 1526 c.c. il valore di principio generale di tutela di interessi omogenei a quelli disciplinati dal leasing “traslativo” nonché di strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti” (Cass. n. 65 del 7/1/93).

Conseguenza diretta del riconoscimento suddetto è la inderogabilità della norma: “Va, infatti, evidenziato che l’applicazione, seppur in via analogica, della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto dall’art. 1526 cod. civ. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, bensì inderogabile (tra le altre, Cass., 27 settembre 2011, n. 19732; in precedenza Cass., 29 marzo 1996, n. 2909), comportando, in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni (tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi), oltre al risarcimento dei danni.” (Cass. civ. Sez. III, 12-09-2014, n. 19272).

Anche la giurisprudenza di merito si è allineata ai principi sopra ricordati (per tutte: Tribunale Milano, 22/11/2007 in Banca borsa tit. cred. 2009, 2, 222; Tribunale Milano, sez. II, 26/10/2007, n. 11697 in Giustizia a Milano 2007, 12, 83; T. Torino, sez. III, 11/12/02 in Giur. merito 2003, 1427; Corte appello Milano, 23/09/1986 in Nuova giur. civ. commentata 1987, I,181; Tribunale Torino, 15/12/1983 in Riv. it. leasing 1985, 189).

La finalità perseguita, meritevole di tanta tutela, è quella di evitare una ingiustificata locupletazione di una parte a danno dell’altra; l’art. 1526 c.c. è sempre stato inteso come norma che “viene ad assumere il ruolo di clausola generale per tutti i contratti di scambio allo scopo di evitare l’indebito arricchimento di una delle parti” (Fra le più risalenti, a conferma di un orientamento decisamente consolidato: Corte appello Torino, 29/05/1987 in Foro padano 1988, I,417; Tribunale Verona, 15/04/1987 in Foro padano 1989, I,71; Corte appello Milano, 23/09/1986 in Giust. civ. 1987, I,664).

Corollario o conseguenza diretta di tale impostazione interpretativa è che le disposizioni contrattuali derogatrici o comunque contrastanti con la predetta norma imperativa, sono da ritenersi nulle ex art. 1419 c.c., o comunque sostituibili ex art. 1339 c.c. da norme imperative.

La giurisprudenza di legittimità e merito prevalente ha affermato la applicabilità dell’art. 1526 C.C. al contratto di leasing traslativo.

Si veda, a titolo esemplificativo, la sentenza Cass. civ. Sez. III, 12-09-2014, n. 19272 (Hypo Alpe Adria Bank S.p.A. c. Fallimento Multipel S.p.A.) ove si statuisce che l’applicazione, seppur in via analogica, della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto dall’art. 1526 cod. civ. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, bensì inderogabile (si confrontino tra le altre, Cass., 27 settembre 2011, n. 19732; in precedenza Cass., 29 marzo 1996, n. 2909), comportando, in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni (tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi), oltre al risarcimento dei danni. La clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 cod. civ., comma 2 (con conseguente potere riduttivo del giudice “secondo le circostanze”), è da qualificarsi come clausola penale, giacchè volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (cosi specificamente Cass. n. 2909 del 1996, cit., e Cass., 17 luglio 2008, n. 19697, non massimata; nella medesima prospettiva, Cass., 2 marzo 2007, n. 4969; Cass., 28 agosto 2007, n. 18195 del 2007 e n. 4969 del 2007 Cass., 17 gennaio 2014, n. 888).

Si riportano di seguito altre recentissime pronunce (proprio dei Tribunali di Milano e di Treviso, e da ultima una pronuncia del Tribunale di Mantova) che si allineano all’orientamento che prevede l’applicabilità dell’art. 1526 C.C.:

  • Milano Sez. XII, 19-03-2014: Nel leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
  • Milano Sez. XII, 23-11-2013: Nel leasing traslativo, al quale si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà ex art. 1526 c.c., in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, questi, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
  • Treviso Sez. II, 05-11-2013: In materia di leasing la giurisprudenza di legittimità appare orientata nel riconoscere l’operatività della disciplina inderogabile di cui all’art. 1526 c.c., la quale comporta, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, l’onere della restituzione dei canoni già corrisposti ed il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi. Ne consegue che il concedente, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i canoni maturati fino al momento della risoluzione, non può conseguire un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene.
  • Milano Sez. IV, 02-10-2013: Al leasing traslativo si applica la disciplina di carattere inderogabile di cui all’art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva della proprietà, la quale comporta, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni, tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale del bene al concedente, mantenendo la proprietà del bene ed acquisendo i canoni maturati fini al momento della risoluzione, non può conseguire un indebito vantaggio derivante dal cumulo dei canoni e del residuo valore dei beni.
  • Mantova, 26-09-2013: Alle ipotesi in cui il contratto di locazione finanziaria sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento non è applicabile in via analogica la disciplina di cui all’articolo 72-quater, R.D. n. 267/1942 (legge fallimentare), ma, in presenza di leasing c.d. traslativo, l’articolo 1526 c.c., il quale, in tema di vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, prevede la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni.

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Per completezza di trattazione è opportuno affrontare brevemente il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi in ordine alla “tipizzazione” del contratto di leasing a seguito dell’introduzione dell’art. 72 quater L.F.; alcuni giuristi, si sono affrettati ad attribuire a tale disposizione natura assolutamente innovativa e generalizzata, giungendo ad escludere la applicabilità al leasing traslativo dell’art. 1526 c.c..

La tesi non ha pregio, non fosse altro perché prende le mosse dal presupposto che una norma di diritto fallimentare possa avere applicazione analogica al di fuori del contesto concorsuale.

La giurisprudenza di legittimità e di merito, concorda con tale censura:

L’introduzione nell’ordinamento, tramite l’art. 59 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, dell’art. 72 quater legge fall. non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo, e le differenti conseguenze (nella specie, l’applicazione in via analogica dell’art. 1526 cod. civ. al leasing traslativo) che da essa derivano nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore”. (Cass. Civ. sent. n. 8687/15).

Alle ipotesi in cui il contratto di locazione finanziaria sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento non è applicabile in via analogica la disciplina di cui all’articolo 72-quater, R.D. n. 267/1942 (legge fallimentare), ma, in presenza di leasing c.d. traslativo, l’articolo 1526 c.c., il quale, in tema di vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, prevede la restituzione dei canoni già corrisposti e il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni” (Trib. MN 26 – 30.9.13 in “Il Caso.it”, 2013 – 9502).

In caso di contratto di leasing risoltosi prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore, non si applica l’art. 72-quater legge fallim. ma l’art. 1526 cod. civ. se ricorre un leasing c.d. traslativo, per cui il concedente deve restituire al fallimento i canoni già corrisposti, salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo del bene” (Trib. MN 26.9.13 in Dir. Fall., 2015, 2, 350).

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